Napoli si è svegliata oggi più triste e sola. L’Italia intera ha perso uno dei suoi pezzi più pregiati. Pino Daniele è morto, tradito da quel cuore appassionato ma ballerino, da un infarto improvviso che non gli ha lasciato scampo. Il bluesman partenopeo se n’è andato nella notte, mentre si trovava con la figlia nella sua casa in Toscana. Avrebbe compiuto 60 anni il prossimo 19 marzo. E per l’occasione, avrebbe voluto organizzare una grande festa: in musica, ovviamente. Era reduce da un lungo tour, Pino. Una serie di tappe live che gli avevano permesso di riabbracciare nuovi e vecchi fan e, soprattutto, di tornare alle origini, a quel sound viscerale di “Nero a metà”, album capolavoro di Daniele.
Qualche settimana fa abbiamo salutato un altro Pino, l’indimenticabile Mango, anch’egli beffato dalla sorte e da una morte improvvisa all’età di 60 anni. Oggi piangiamo l’americano di Napoli, come spesso si usava chiamare il cantautore dal sorriso contagioso e dal gusto internazionale. Il 2015 si apre così con una grave perdita che sconvolge come un pugno allo stomaco; un dolore così intenso che colpisce duramente e vigliaccamente come quando ci lasciarono Giorgio Gaber e Fabrizio De Andrè, uomini e artisti che della loro terra hanno saputo dipingere quadri musicali di straordinaria ironia e bellezza. Pino Daniele è figlio di una Napoli viva e vissuta, città che ha descritto nelle sue canzoni più amate, come “Napule è”, “Terra mia” e “Che calore”, dando voce alla forza ma anche al disincanto dei napoletani.
La chitarra, estensione delle sue dita, era l’inseparabile compagna di viaggio e di infinite performance live. Il palco, più che lo studio di registrazione, era la sua seconda casa, sul quale ha duettato e ospitato nomi illustri come Wayne Shorter, Alphonso Johnson, Randy California, Steve Hunter, Robby Krieger, Phil Manzanera, Leslie West. Con o senza band, l’artista di “Sotto o’ sole” e “Vai mò”, di "Quanno chiove" e "O' Scarrafone", dava il meglio di sé in concerto, sperimentando e giocando tra sonorità blues, funky, jazz, soul e, recentemente, anche rap (accanto a Clementino, Rocco Hunt e J-Ax). Dagli anni Settanta ad oggi ci ha regalato decine di album e almeno un centinaio di grandi canzoni che hanno saputo attraversare mode e generazioni. Di lui le persone amano in particolare il repertorio dei primi anni, quello in cui pulsa il ritmo del bluesman a tutti gli effetti. Sono gli anni di “Musicante”, “Ferryboat”, “Schizzichea with love” e “Un uomo in blues” e di pezzi simbolo che hanno scritto pagine importanti della musica cantautoriale italiana.
“Back home…in viaggio per casa” aveva scritto sulla pagina ufficiale Facebook appena tre giorni fa. Una frase che oggi, appresa la notizia della scomparsa di Pino Daniele, sembra uno scherzo amaro ma anche una inquietante premonizione. Il figlio di Napoli, l’americano dell’amato sud, come amava precisare durante le sue interviste, ci ha spiazzato così, uscendo di scena in punta di piedi: lo ricorderemo per la sua arte, per averci aperto le porte a nuovi suoni e colori, ma anche per l’eleganza e l’originalità della sua inconfondibile voce e il sorriso sincero come solo “un cuore pazzo” e innamorato sa donare.